giovedì 12 dicembre 2013

Lussazione scapolomerale

La lussazione avviene per la perdita dei rapporti tra i capi articolari e costituisce il 50% di tutti gli eventi lussativi, nel 90% si tratta di una lussazione anteriore.
Il primo episodio è quasi sempre legato a traumi acuti, spesso evolve in lussazione recidivante. Il trauma acuto è dovuto alla caduta sul braccio, abdotto ed extra-ruotato, sul gomito o direttamente sulla spalla. La perdita dei rapporti articolari avviene sempre con una lacerazione della capsula. Dopo l'evento si osservano "stupor" muscolare, una certa tensione di difesa, deformità del contorno articolare e cavità glenoidea vuota. Sono presenti dolore, tumefazione e impotenza funzionale. La clinica nutre il sospetto di lussazione basandosi sull'anamnesi del soggetto, mentre la diagnostica strumentale con esame radiografico trans-scapolare ed eventuale TAC conferma il sospetto e permette di evidenziare o escludere eventuali lesioni associate a carico delle strutture molli ossee. Sono temibili le complicanze da lesioni vascolari (arteria ascellare) e nervose (nervo circonflesso).
La rapida riduzione con tecnica accurata deve essere sempre lasciata a mano esperta, per il rischio di provocare lesioni aggravate da manovre scorrette. Successivamente viene osservato un periodo di immobilizzazione con tutore per 2-3 settimane nel soggetto giovane, mentre nell'anziano l'immobilizzazione avviene per mezzo di un bendaggio desault per alcuni giorni. Nelle forme acute in caso di lesioni associate si procede per la loro riparazione, mentre nelle forme recidive alla capsuloraffia con tecniche artroscopiche o a cielo aperto.


Rigidità di spalla

La rigidità di spalla o spalla congelata (Frozen Shoulder) comporta una perdita del range articolare per causa non certa (primitiva), fattori intrinseci o estrinseci, traumatica/chirurgica (secondaria). Primitiva o secondaria è la rigidità che determina la diagnosi. La forma primaria prevale nel sesso femminile e si sviluppa senza causa identificabile attraverso una prima fase dolorosa con inizio della rigidità, una seconda fase senza dolore ma solo con rigidità e una terza fase di risoluzione della rigidità. Sul piano anatomopatologico si distinguono 4 stadi:
- Sinovite capsulare;
- Aderenze capsulari al collo anatomico;
- Retrazione con "congelamento";
- Capsulite cronica;

Il dolore è ingravescente e porta ad una graduale riduzione della mobilità glenomerale, perdita del ritmo scapolomerale fino alla rigidità.
Va trattato in prima istanza con farmaci antinfiammatori per via sistemica, infiltrazioni con corticosteroidi per il controllo del dolore e successivamente massaggi del tratto cervicale.Alla soluzione della fase più dolorosa si può passare alla riabilitazione mirata.


lunedì 9 dicembre 2013

Coxartrosi

La coxartrosi è la lesione degenerativa della cartilagine articolare a livello coxofemorale con un interessamento dell'acetabolo (nota anche come cotile, formato dalla fusione delle ossa ileo, ischio e pube, che contiene la testa del femore) e della testa femorale. L'eziopatogenesi è sempre e solo meccanica, soprattutto relativa alle forze da carico. L'evoluzione con sinovite reattiva e progressiva distruzione porta verso l'erosione dell'osso subcondrale (con successiva formazione di geodi). Si osservano sinoviti a poussées, alle quali segue il rifacimento dell'osso subcondrale con sclerosi nelle zone di maggior sollecitazione meccanica e apposizioni osteofitiche.
La coxartrosi primaria è senza cause identificabili, mentre la secondaria si verifica a partire da una condizione predisponente con alterazione della congruenza articolare su cui agiscono sollecitazioni alterate a livello cartilagineo con danno irreparabile (artrosi). Le cause predisponenti alla forma secondaria sono la displasia (anormale sviluppo cellulare osseo), la necrosi cefalica femorale post-traumatica, la deformità dell'angolatura del collo femorale in varo/valgo.
La pericoxite, invece consiste nell'interessamento dei tessuti molli (muscoli, tendini, inserzioni e borse), che diventano dolorose e limitano ulteriormente la funzionalità.
Il dolore è generato da sinovite, da iperemia capsulare e ossea, anche da stimolazione nocicettiva di recettori a livello del periostio con comparsa di dolore pericoxale irradiato a distanza (soprattutto al ginocchio).
Nella fase iniziale prevale la rigidità mattutina con dolore all'avvio della deambulazione che si risolve con il movimento. Successivamente compare il dolore al carico con limitazione funzionale solo in corso di carichi elevati, prolungati o intensi, con affaticamento e limitazioni funzionali alla corsa e al salto; sensibilità a freddo e umido. Inoltre si sviluppa dolore sotto carico e durante il movimento, contratture, limitazione del ROM, caludicatio. Questa sintomatologia non è più responsiva al riposo e alla terapia (calore, fisiocinesiterapia), ma servono FANS e cammino in scarico con bastone. Successivamente, se il dolore diventa persistente, si instaurano rigidità su base antalgica e da non-uso, intolleranza al carico prolungato, limitazioni nelle ADL (attività di vita quotidiana). In queste condizioni possono esserci le indicazioni all'intervento chirurgico.


giovedì 5 dicembre 2013

Distorsione tibiotarsica

Con il termine distorsione si indica il complesso delle lesioni causate da un trauma che sollecita un'articolazione al di là dei gradi fisiologici di movimento previsto.
I meccanismi traumatici della distorsione sono principalmente due:
- Distorsione in inversione: prevalentemente in associazione a flessione plantare genera uno stress laterale con interessamento del legamento peroneo-astragalico anteriore (PAA) e comparsa del cassetto anteriore. Se la distorsione è grave può interessare anche il peroneo-calcaneare e in rare circostanze anche il legamento peroneo-astragalico posteriore (PAP). Se associata invece alla dorsiflessione può ledere dapprima il legamento peroneo-calcaneare (PC) e poi il peroneo-astragalico anteriore.
- Distorsione in eversione: è interessato il legamento deltoideo;



La distorsione di caviglia può essere di 3 gradi diversi, a seconda della gravità della lesione.
Grado 1°: stiramento del legamento senza lacerazione microscopica, lieve gonfiore e dolore alla palpazione sulle strutture interessate, piccola perdita di funzionalità, assenza di instabilità articolare;
Grado 2°: microscopica lacerazione parziale del legamento con moderato dolore spontaneo, gonfiore e dolore alla palpazione sulle strutture interessate. Sono presenti una certa perdita di funzionalità e un'instabilità articolare da lieve a moderata;
Grado 3°: rottura completa del legamento con accentuato gonfiore, versamento ematico e dolore alla palpazione. Sono presenti perdita funzionale e una grave instabilità articolare. I pazienti non riescono a caricare completamente il peso corporeo sull'articolazione.


Epicondilite omerale

L'infiammazione della giunzione osteotendinea all'epicondilo laterale del gomito ha carattere flogistico-degenerativo e colpisce in età comprese tra i 30 e i 50 anni. L'eziologia è di tipo:
- Esogena, dovuta a sollecitazioni esterne sulla giunzione da uso di attrezzi;
- Endogena, procurata da contrazioni muscolari prolungate, ripetute e intense che impartiscono sollecitazioni eccessive alla giunzione;
La causa è meccanica e dovuta a sollecitazioni ripetute da attività lavorativa o sportiva. I movimenti interessati nell'epicondilite sono quelli di estensione del polso e di supinazione dell'avambraccio. Il muscolo maggiormente coinvolto è l'estensore breve radiale del carpo, che origina dal condilo omerale laterale e si inserisce a livello del terzo metacarpo.
Il dolore insorge gradualmente, quindi può riacutizzarsi con attività funzionali come sollevare un peso, fare il pugno o gesti sportivi (TENNIS). Obiettivamente, l'ispezione è negativa, la palpazione locale evoca dolore che aumenta con l'estensione del gomito, estensione del terzo dito contro resistenza, sollevare una sedia. Il decorso tende a cronicizzare se non adeguatamente trattato.
La diagnosi è soprattutto clinica, supportata da indagini strumentali come ecografia e RX per evidenziare rarefazione ossea e calcificazioni nella zona giunzionale, eventualmente teletermografia.


Dolore femororotuleo

Il dolore femororotuleo (PFP) è caratterizzato da dolore nella regione anteriore di ginocchio durante l’esecuzione di attività funzionali, come nel salire e scendere le scale, nella corsa e nello squatting. La riabilitazione riduce la sintomatologia, anche se molti soggetti con PFP lamentano ancora dolore anche dopo 5 anni dalla diagnosi nonostante l’esecuzione degli esercizi terapeutici.
Gli esercizi di rinforzo del quadricipite sono comunemente prescritti per ridurre il dolore e migliorare la funzionalità, anche se sono presenti scarse evidenze sull'esistenza di un’atrofia del quadricipite nei soggetti con PFP.
Un’atrofia del quadricipite, anche se piccola, misurata con tecniche di imaging, è presente nei soggetti con PFP nell'arto affetto, se confrontato con l’arto asintomatico o con gruppi di controllo. L’atrofia non è evidenziata se sono utilizzate tecniche di misurazione della circonferenza della coscia con un metro a nastro, probabilmente perché l’atrofia è in genere piccola e tale tecnica è poco affidabile.
La presenza di un’atrofia del quadricipite potrebbe rappresentare il razionale per l’efficacia degli esercizi di rinforzo nei soggetti con PFP per ridurre il dolore e migliorare la funzionalità. Di conseguenza, la valutazione della forza del quadricipite potrebbe essere un parametro clinico rilevante.
La riduzione di forza del quadricipite potrebbe essere la conseguenza del dolore durante la contrazione, di una inibizione o di modificazioni fisiologiche della muscolatura. Di contro, se i soggetti con PFP non presentano un’atrofia del quadricipite, la riduzione del dolore potrebbe essere sufficiente per ripristinare la forza. E’ comunque difficile determinare se l’atrofia del quadricipite sia un fattore predisponente o una conseguenza del dolore.
Le evidenze per supportare una differenza di dimensioni tra il vasto mediale e il vasto laterale sono insufficienti; di conseguenza, non c’è motivo di proporre esercizi per isolare l’attivazione del vasto mediale.
Non tutti i soggetti con PFP presentano un’atrofia del quadricipite; ciò potrebbe spiegare perché solamente alcuni pazienti
rispondono positivamente agli esercizi di rinforzo. Nei soggetti con PFP senza atrofia del quadricipite, gli esercizi terapeutici per il controllo motorio dell’anca potrebbero essere più appropriati.

mercoledì 4 dicembre 2013

Cenni sul massaggio e benefici

Il massaggio è una terapia che si avvale di alcune manualità:
- Sfioramento;
- Frizione;
- Impastamento;
- Pressione pura;
- Vibrazione;
- Percussione;
Il massaggio va nelle direzioni degli scarichi venosi (ascellare e inguinale) e nella direzione delle fibre muscolari. A seconda delle manualità, pressioni e velocità il massaggio può essere: calmante, sedativo, rilassante, eccitante e stimolante.
Il massaggio dolce favorisce l'anestetizzazione della parte, mentre quello veloce stimola le fibre motorie e trofiche e la loro stimolazione, per mezzo di nervi cutanei, si propaga all'interno del sistema nervoso provocando iperattività funzionale.
L'effetto principale sui tessuti è quello di raccogliere i detriti organici dei vari tessuti convogliandoli nel torrente circolatorio. Ciò viene svolto dalla linfa che fa da mediatrice tra i tessuti ed il sangue.
I canali linfatici hanno un lume inferiore rispetto ai vasi sanguigni, ma hanno lo stesso decorso, per cui quando si massaggia si influisce direttamente anche sulla circolazione linfatica, che non è altro che il mezzo di distribuzione dei materiali nutritizi e il mezzo di raccolta delle scorie dei tessuti.
La stasi, dovuta ad immobilità, traumi, esiti da fatica sportiva, disturbi locali o generali, può determinare un rallentamento del circolo (stasi ed edemi) nocivo per trofismo organico.
Il massaggio, drenando il sottocute, favorisce lo sbrigliamento di aderenze che potrebbero limitare ancor più la circolazione linfatica.
Il massaggio agendo sui muscoli affaticati, scaccia da essi l'acido lattico e le altre sostanze responsabili del senso di fatica, apportando una maggiore quantità di ossigeno vincendo in questo modo più sollecitamente l'esaurimento muscolare di quanto potrebbe fare il solo riposo. Da aggiungere che il massaggio effettuato sui muscoli ipotrofici ha azione benefica superiore ad ogni previsione e quando viene applicato su traumi vecchi, una manualità perfetta come l'impastamento, favorisce la disgregazione dei coaguli, briglie ed aderenze.
Nei vari sport il massaggio può essere applicato in fase: pre-gara, durante gara, post-gara.
Nel post-traumatico si applica qualche giorno dopo il trauma, dopo aver sfiammato la zona interessata dopo: distorsioni e lussazioni, stiramenti muscolari, strappi muscolari, crampi, post rimozione di gessatura, edemi, nevralgie di natura reumatica.
Il massaggio estetico ed igienico ha lo scopo di riattivare la circolazione locale superficiale e profonda determinando un notevole aumento della portata ematica ai tessuti, favorendone l'ossigenazione e il nutrimento, migliorandone il circolo di ritorno emo-linfatico e assicurando l'allontanamento delle scorie metaboliche.
Il massaggio ha una durata di 30-35 minuti e in toto non deve superare l'ora.

martedì 3 dicembre 2013

Rachialgia

Il mal di schiena (rachialgia) viene definito in maniera differente a seconda di dove si manifesta:
- Lombalgia a livello lombare (nella parte bassa della schiena);
- Dorsalgia a livello dorsale (sotto o tra le scapole);
- Cervicalgia a livello cervicale (nella zona del collo);

Prima di tutto è importante sapere che le cause di rachialgia possono essere molteplici. E' molto difficile fare una diagnosi precisa; sono poche, infatti, le volte in cui si riesce a diagnosticare la causa del dolore con certezza scientifica.
Il mal di schiena può essere causato da fattori meccanici, fattori psicosociali, posture e movimenti scorretti, forma fisica scadente, sovrappeso, obesità, fumo, stress...



E' molto importante consultare il medico e lo specialista quando il dolore persiste, ma è importante essere pazienti "attivi", perché la terapia inizia con la volontà di reagire.
Un valido aiuto in ambito riabilitativo può essere dato dagli esercizi della Scuola della Schiena (Back-School), una scuola attiva che ha come obbiettivo l'insegnamento del corretto utilizzo della colonna. Si prefigge, infatti, di agire sui fattori di rischio in modo da essere efficace non solo nella cura del sintomo, ma anche nella prevenzione delle ricadute, evitando di azionare il meccanismo che provoca il malessere.


Anatomia del rachide e sua degenerazione

La colonna vertebrale, detta anche rachide, è costruita dalla sovrapposizione di piccole ossa, le vertebre. Il numero delle vertebre che costituiscono la colonna può essere 33-34.


Vista posteriormente la colonna appare dritta mentre, vista di profilo presenta 4 curve fisiologiche:
  • Lordosi cervicale
  • Cifosi dorsale
  • Lordosi lombare
  • Curva sacrale
La cui funzione è quella di sopportare e ammortizzare le sollecitazioni compressive dovute alle forze di gravità. Le funzioni fondamentali del rachide sono: 
- Sostenere come un vero pilastro il nostro organismo;
- Proteggere il midollo spinale (che passa nel canale midollare);

La sovrapposizione delle vertebre forma infatti un canale chiuso in cui è contenuto il midollo spinale, un'importante struttura nervosa da cui partono i nervi che raggiungono i diversi organi del nostro corpo tra cui gli arti superiori ed inferiori.
Interposti tra una vertebra e l'altra ci sono i dischi intervertebrali, una struttura composta da una sostanza fluido-elastica costituita da una parte centrale detta nucleo polposo che è circondato da un anello fibroso che lo mantiene al suo interno.
I dischi intervertebrali rendono possibili i movimenti tra le vertebre e sono capaci di assorbire gli urti e le pressioni a cui è sottoposta la colonna vertebrale. 


Col passare degli anni il disco comincia lentamente a degenerare:
- Diminuisce di spessore;
- Aumenta di larghezza (caratteristica che porta ad una diminuzione della statura dell'individuo);

Il nucleo polposo del disco si trasforma e può penetrare nelle aperture (dette fissurazioni) che si formano nell'anello fibroso.
La degenerazione del disco è detta discopatia e può essere accentuata da un uso scorretto della colonna (posizioni fisse mantenute a lungo, eccessive flessioni o torsioni del rachide).


La massima espressione dell'usura del disco intervertebrale è la sua rottura: ernia.
L'ernia è la fuoriuscita di una parte del nucleo dalla sua sede e può essere provocata da:
- Movimenti bruschi;
- Modo scorretto di sollevare pesi;

Il frammento fuoriuscito dalla sua sede naturale può comprimere ed irritare le radici del nervo sciatico provocando la classica sciatalgia in cui il dolore si irradia all'arto inferiore.

lunedì 2 dicembre 2013

Studio di Low Back Pain con RMN

La RMN è attualmente la migliore scelta di modalità di imaging per indagare le condizioni che causano dolore al rachide lombare (Low Back Pain). In circa il 95 % dei casi il LBP è non specifico, ma può anche essere causato da una patologia grave come ernia del disco, stenosi spinale, tumori, fratture, infezioni, ecc...
L'obiettivo di questa revisione sistematica è stato quello di quantificare l'accuratezza diagnostica della risonanza magnetica per individuare gravi patologie che causano il LBP. Otto studi sono stati inclusi e quando possibile, i dati sono stati inclusi in una meta-analisi e raggruppati. Il gold standard sono stati i riscontri in chirurgia, opinioni di esperti o controllo medico diagnostico .
Semplicemente, l'alta sensibilità si riferisce ad una corretta identificazione di tutti i pazienti con la patologia in questione, l’alta specificità si riferisce alla corretta esclusione dei pazienti senza la patologia.
- Ernia del nucleo polposo (HNP): (bulging, protrusione, estrusione o sequestro del nucleo polposo). 
La sensibilità della RMN per identificare correttamente queste patologie è stata del 75 %, la specificità è stata del 77 %;
- Compressione della radice nervosa (sciatica) causata da HNP: La sensibilità è stata elevata (81-92 %), con specificità variabili (52-100 %);
- Stenosi spinale: la risonanza magnetica è stata molto sensibile (87-96 %), ma moderatamente specifica (68-75 %);

In conclusione questi risultati dimostrano che una scarsa e non trascurabile parte di pazienti con LBP sarebbero diagnosticati non correttamente se la RMN venisse utilizzata singolarmente. Clinicamente si raccomanda che la RMN venga usata in combinazione con altre osservazioni e prove, in modo da guidare al meglio il ragionamento clinico e il processo decisionale.

sabato 30 novembre 2013

Studio di Neurodinamica sul Nervo Sciatico

Gli esercizi neurodinamici sono utilizzati per mobilizzare i nervi. I tipi differenti di esercizi per gli arti inferiori (inclusi gli "sliders" e i "tensioners") sono pensati per indurre differenti quantità di escursione o spostamento del nervo sciatico. La ricerca recente focalizzata sul lato superiore ha mostrato che l'escursione nervosa differisce significativamente tra i diversi tipi di esercizi di mobilizzazione neurale. In ogni caso, ciò non è stato esaminato nell'arto inferiore.
Questo studio misura (utilizzando un ultrasuono ad alta risoluzione) l'escursione del nervo sciatico in 31 soggetti sani mentre effettuano 4 esercizi differenti di mobilizzazione neurale (combinazioni di estensione di ginocchio flesso-estensione del rachide cervicale).
I risultati hanno mostrato che esercizi diversi di mobilizzazione neurale inducevano, in modo significativo, una mobilizzazione del nervo sciatico nella regione posteriore della metà coscia. L'esercizio slider, consistente nell'esecuzione simultanea da parte del soggetto di estensione di ginocchio e rachide cervicale, risultava per la maggior parte a carico dell'escursione del nervo sciatico. Inoltre, la quantità di escursione durante l'esercizio slider era leggermente maggiore rispetto all'esercizio tensioner (flessione del rachide cervicale contemporanea ad estensione del ginocchio). La sola flessione del collo risultava in minor quantità nell'escursione del nervo sciatico posteriore che era significativamente più piccola degli altri 3 esercizi.


Questi risultati sono coerenti con i risultati delle precedenti ricerche che prendevano in esame l'escursione del nervo mediano in associazione agli esercizi di differente mobilizzazione neurale.





Da: Ellis et al. J Orthop Sports Phys Ther 42 (2012) 667-675. 

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